Ogni cosa è illuminata


Jonathan Safran Foer è un giovane americano collezionista "di ricordi di famiglia" che, in memoria del nonno ebreo decide di recarsi in Ucraina, paese natale dell'avo, per ritrovare il piccolo villaggio di Trachimbrod e Augustine, la donna che lo salvò dai nazisti. Si fa accompagnare da un ragazzo che parla inglese, Alex, e da suo nonno, antisemita, autista finto-cieco (ma non alla napoletana: lui è convinto di esser cieco e di non vedere, nonostante il suo lavoro sia guidare) con cane disturbato al seguito. Dopo aver attraversato metà del paese i quattro trovano infine ciò che resta del piccolo paese distrutto dalla furia irragionevole dell'Olocausto e una donnina minuscola e dolcissima che può raccontare qualcosa ad ognuno di loro, chiarificando ciò che stanno vivendo, perché -come dice Alex- ogni cosa è illuminata dalla luce del passato.
Opera prima di un attore ancor giovane, L. Schreiber, è questo un film pieno di ironia e dolcezza, un road movie a bordo di una Trabant disastrosa ma capace di contenere delle storie dall'altissimo peso specifico. Da un lato il giovane americano che si avventura in una cultura che ormai non è più sua ma che non può trascendere, dall'altro il giovane acutissimo post-sovietico che ha quasi paura di scoprire segreti scomodi di un passato troppo vicino per essere imbelle, e infine il Vecchio, la memoria storica del gruppo, che decide di vedere di nuovo e fermarsi là dove si può davvero sentire a casa, al passo con ciò che gli accade intorno.
La fotografia sfrutta molto bene i colori freddi del sogno per trasmettere la malinconia estrema di questo viaggio in un tempo difficilmente conoscibile. Molto ben recitato, estremamente poetico, sorretto da una colonna sonora squisita. Mi ha commosso.

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